Pubblichiamo la nota critica di Lucia Cupertino a Sotto sopra il cielo.

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I treni attraversano l’opera di Roxana Crisólogo, poetessa di origini peruviane attualmente residente ad Helsinki, come un ineluttabile destino, un’ossessione o il perpetuo andare e tornare tra i poli della storia personale e di quella collettiva. Trenes è infatti il titolo di una raccolta di poesie che ha dato alle stampe una decina di anni fa ed è stata rieditata nel 2019 in Cile da Ediciones Libros del Cardo, all’interno della quale il viaggio transiberiano non è l’oggetto ultimo della riflessione, bensì il pretesto per intrecciare i fili di una narrazione poetica ben più intricata che smaschera gli stereotipi, i punti ciechi, le contraddizioni della realtà per mezzo di versi allo stesso tempo lucidi e deliranti.

In Sotto sopra il cielo, suo primo libro apparso a Lima nel 1999 e grazie a questa preziosa edizione accessibile anche al pubblico italofono, siamo in una tappa precedente che tuttavia in nuce riunisce già i nodi fondamentali della poetica dell’autrice. E anche i treni non possono dunque mancare, sfondo costante di un affastellarsi di scene, personaggi e paesaggi, ma anche di per sé densi di significato, simboli di qualcosa tutt’altro che volatile.

In questo libro, i treni si muovono in modo immaginario tra il continente latinoamericano e quello europeo, quasi fossero ignari dell’oceano di mezzo, ma anche in modo estremamente palpabile, sulle tracce delle idiosincrasie della Storia globale contemporanea, facendo sentire quanto siano di carne ed ossa queste storie di vita, talvolta coriacee, talaltra fragili, accomunate da un tono controepico.

Ad un estremo c’è il treno Pacasmayo-Chilete in Perù, una tratta inaugurata alla fine dell’Ottocento in cui lavorava il nonno del soggetto poetico, che è ritratto all’apice dello sforzo lavorativo come l’operaio modello del secolo del progresso, anche se ben presto sopraggiungerà la beffa di quello stesso modello di sviluppo. Le linee ferroviarie, infatti, in gran parte dell’America Latina sono state l’avamposto del colonialismo, implementate per facilitare l’estrattivismo e la fuga all’estero delle materie prime. Pertanto finito il business, dismessa la rete ferroviaria. Così svanì il treno che univa Pacasmayo e Chilete, così tutto il Novecento, nonostante le sfide di una modernizzazione che avrebbe dovuto permettere agilità di movimento alla popolazione latinoamericana, è stato segnato dall’abbandono di migliaia di linee in tutto il continente.

All’altro estremo c’è il treno diretto a Mosca, animato dal transitare di figure del melting pot culturale europeo, scrutato nel suo avanzare dagli occhi di una straniera disorientata e solitaria, attanagliata dal timore dell’arrivo del controllore e da un senso di sorveglianza che le pare ogni cosa trasudi. Se inizialmente verrebbe facile cadere nella classica antitesi tra sud e nord del Mondo, passando dal treno del saccheggio capitalista all’efficienza del treno al servizio dei cittadini, è però vero che, ad una lettura più profonda, la voce di denuncia dell’autrice vibra nel secondo contesto non meno che nel primo, al fine di mostrare le ipocrisie e le ingiustizie presenti anche nella quotidianità europea, con declinazioni apparentemente diverse, ma pur sempre dominata da razzismo e odio.

In questa serie di treni che sfrecciano, mescolando e confondendo le proprie direzioni, potremmo vedere il simbolo del processo di trasformazione di Roxana Crisólogo: da una parte il multilinguismo a cui approda con la sua nuova vita in Finlandia e dall’altra il radicale riforgiarsi del linguaggio poetico, vera voce dell’anima di chi dedica la propria esistenza alla poesia.

Una poetica in moto perpetuo, tuttavia non sprovvista di radici se si pensa che negli anni Novanta, poco prima del suo passaggio in Finlandia, la poetessa a Lima era membro di spicco del collettivo Noble Katerba, intento a proseguire e aggiornare il cammino di rinnovamento della poesia peruviana, intrapreso due decadi prima da Hora Zero. Quest’ultimo movimento aveva segnato uno spartiacque in Perù, promuovendo una rottura rispetto al canone letterario borghese e conservatore, eccezion fatta per il grande César Vallejo. Si propugnava la nascita della cosiddetta poesia integrale che, secondo i manifesti apparsi in quegli anni, doveva essere capace di integrare in se stessa le tensioni individuali e quelle storiche e sociali, risolvere insomma la classica contrapposizione tra lirico e civile, ma anche molto di più: spronare la ricerca di dispositivi che avrebbero permesso di mettere al centro del discorso poetico tutto quello che ne era rimasto ai margini.

Significava raccontare il volto drammatico del Perù, il vivido palpitare dei ritmi e delle tensioni interne, la plasticità delle situazioni, ricorrere ad un linguaggio più quotidiano e scevro di manierismi, erodere i confini netti tra generi e aprirsi alla contaminazione. Come si leggeva in Palabras urgentes: «ci era stata consegnata una catastrofe per poetizzarla».

L’aspirazione era quella di creare una poesia immersa nella realtà socioculturale del paese andino, ad essa intimamente connessa e però intenta anche ad incoraggiare il sopraggiungere del cambiamento sociale; mentre a livello artistico questo significava ricordare ai poeti che è possibile «essere universali da qui», laddove il lì sottinteso erano le prospettive e i temi fissati dal canone nazionale e anche dai modelli letterari esteri, verso cui si era avuta maggiore inclinazione rispetto a quelli latinoamericani.

In Sotto sopra il cielo, Roxana Crisólogo racconta in modo polifonico la vita delle periferie di Lima senza nessun grado di pietismo, senza neppure sbilanciarsi e cadere dall’altro lato, quello dello sguardo algido e distaccato, quanto piuttosto riuscendo ad essere presente, come chi tiene una videocamera tra le mani, a riprodurre in presa diretta il brulichio dei luoghi emarginati della capitale. In questo senso la sua poesia è una danza di immagini, scene, personaggi, luoghi, odori, in cui i generi letterari si mescolano, passando da toni e registri diaristici ad altri surreali, giornalistici, ecc.

Emerge così la narrazione rinnovata di una città, fino ad allora considerata unicamente impositrice di tendenze e novità dal suo inespugnabile centro, che poco a poco diventa invece il punto di confluenza di visioni diverse, provenienti proprio dalla realtà di provincia e dalle periferie, fortemente segnate da ataviche passività e arretratezza.

Cambiano anche gli occhi di chi assembla la nuova cartografia e in questo senso l’influenza dell’esperienza migratoria fa sì che il lavoro di Roxana Crisólogo assuma dei caratteri estremamente peculiari, che rendono la sua poesia libera da manifesti, movimenti, geneaologie e legami con generazioni precedenti, eppure allo stesso tempo in rete con diverse poetiche, gruppi e singole voci. Quella che si inizia a tracciare in questo libro è l’esperienza di un soggetto nomade, come ben direbbe Rosi Braidotti, tipica di una personalità in divenire e allo stesso tempo incarnata e situata, che rielabora costantemente la propria identità, a partire dal contatto con i luoghi e le società con cui interagisce.

Un soggetto che aggiorna le proprie coordinate, senza cedere a relativismi, mantenendo un asse solido nell’etica postcapitalista. Questo si traduce in un’attenzione costante ai temi del femminismo, delle migrazioni, del razzismo, delle disuguaglianze e delle sfide globali, ma anche a quello dell’infanzia, straordinariamente presente in questo volume.

Il caos e l’ordine coesistono in Sotto sopra il cielo e finiscono per depositare nelle mani dei lettori una cartina messa sottosopra, un po’ come nella famosa América invertida di Joaquín Torres García o come nella scena di una poesia del libro in cui cielo e deserto, osservati dal finestrino, si fondono e, benché la realtà sia in rivolta dopo secoli di pratiche disumane e sogni spezzati, diventano «la stessa faccia della moneta / che ora lancio nel vuoto con qualche speranza». La natura, coi suoi messaggi silenziosi, sembra suggerire la strada del ritorno oltre l’eco delle rotaie.

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