Sfido chiunque a non aver mai visto Il giovane favoloso, o almeno una sua scena: un film di successo che sicuramente ha contribuito ad avvicinare Leopardi anche ai “non addetti ai lavori”, rendendo il poeta recanatese più umano ai nostri occhi, anche tramite la sublime interpretazione di Elio Germano.

La parte centrale dello sceneggiato si occupa del periodo fiorentino di Giacomo, caratterizzato dall’ultima grande passione amorosa: quella per Fanny Targioni Tozzetti, animatrice dei salotti di quella che oggi definiremmo la “Firenze bene”. Se lascia più di qualche dubbio la descrizione di un vero e proprio triangolo amoroso Ranieri-Fanny-Leopardi, con i primi due amanti e il terzo tacitamente rifiutato, sicuramente è più “poeticamente” veritiera la scena in cui Fanny si presenta al poeta allungata su un divano «del color vestita / della bruna viola» (Aspasia, vv. 16-17) e a un certo punto viene sommersa dai baci delle figlie.

Non è un colore casuale, il viola, dettaglio cromatico minaccioso che designa una donna spietata, quasi una moderna donna-petra di dantesca memoria; ancora più esplicito è tuttavia il significato del senhal adottato da Leopardi, Aspasia: questo infatti era il nome della moglie di Pericle, etéra rinomata in tutta Atene; insomma, una “donna da letto”, nel senso etimologico del nome. Un altro dettaglio non secondario, sempre ben riportato da Martone, rimanda alla pratica della prostituzione: la donna si presenta a Leopardi «inchino il fianco» (Asp., v. 18), inchinata su un fianco, come in una sorta di sensuale attesa in cui Fanny/Aspasia è «circonfusa / d’arcana voluttà» (Asp.19-20).

Nel film è evidenziata anche una parte degli stratagemmi adottati da Giacomo per conquistare Fanny: regalarle autografi di famosi uomini contemporanei, tra cui Alfieri (scomparso quasi trent’anni prima), autografi richiesti da Leopardi a quei letterati fiorentini che ruotavano attorno al gabinetto Viesseux tramite apposite lettere, anche se in realtà, nello sceneggiato, il poeta chiede di persona gli autografi agli «amici suoi di Toscana», come li definisce nella lettera dedicatoria preposta all’edizione dei Canti del 1831.

Ciò che il film però tralascia è il regalo preziosissimo che il poeta fece alla sua amata: un esemplare dei suoi Canti, editi a Firenze da Guglielmo Piatti (la sopracitata stampa 1831), rilegati in oro e marocchino, tipo di cuoio particolarmente prezioso. La stampa Piatti ovviamente non conteneva, per ovvie ragioni cronologiche, le liriche del cosiddetto “Ciclo d’Aspasia” dedicate proprio a Fanny, che fecero la propria comparsa solo nella stampa napoletana Starita del 1835; tuttavia la donna fiorentina, prima di comprendere o di accettare definitivamente la propria identificazione con l’Aspasia leopardiana, ebbe modo, in una lettera a Ranieri risalente al 31 dicembre 1836, di esprimersi a proposito delle liriche ispirate al poeta: «Godo davvero nel sentirvi tutti bene, e direte vi prego molte cose in mio nome all’ottimo Leopardi, le di cui poesie nuove mi hanno molto dilettato in specie Consalvo», terza lirica del “Ciclo”.

Questo gruppo di cinque poesie risulta decisivo nella storia leopardiana almeno per due motivi essenziali: innanzitutto segnò per il poeta il crollo definitivo di qualunque illusione, soprattutto d’amore, uno stato d’animo perfettamente descritto in un paesaggio dell’anima in cui «è notte senza stelle a mezzo il verno» (Asp., v. 108), un gelo senza luce. In secondo luogo, il “Ciclo” segnò un’importante svolta nella poetica leopardiana, col passaggio da una poesia narrativa e funzionale al ricordo (come A Silvia), a una poesia strettamente legata al presente e marcata da enormi fratture, frasi brevi e ritmi concitati che sembrano riprodurre i moti del cuore, come A se stesso (vv. 2-3): «Perì l’inganno estremo, / ch’eterno io mi credei. Perì.», il punto più alto dello sperimentalismo leopardiano, che colloca di diritto il recanatese tra i precursori del Novecento. Una poesia, quella del “Ciclo”, intima a tal punto da lasciare dietro di sé una lunga scia di mistero, visto che, a parte Consalvo, ad oggi non ne conserviamo nemmeno un autografo…

Massimo Pucetti

Massimo Pucetti

Abruzzese classe ’97 trapiantato da cinque anni nelle Marche, studia per conseguire la specialistica in filologia moderna all’Università di Macerata. Tra i suoi principali interessi ci sono Leopardi, D’Annunzio, il Novecento e questioni di lessicologia, lessicografia, italiano regionale e dialetti. Nutre un amore smisurato per le parole in tutte le loro forme.

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